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Dalla parte dei bambini

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Sono precaria da tanto di quel tempo che non lo ricordo più. Ho partecipato al primo concorso per la scuola nel 1999. Superato. Ci ho riprovato nel 2016. Superato. Nel 2015 l’Europa chiede all’Italia di adeguarsi alle normative comunitarie in materia di concorsi: assegnare il ruolo ai vincitori. Ma il Miur risponde che ha fatto un errore di calcolo.

Molte di noi nonostante sforzi e sacrifici restano ancora fuori: supplenti, precarie, invisibili. Ma non fa nulla mi dico. Vedo la scuola non un canale privilegiato di lavoro sicuro ma un motivo di crescita che avviene in maniera biunivoca: io insegno ed imparo anche! Sono amministratore in un gruppo scuola su Facebook.

Molti mi scrivono per chiedermi consigli ed aiuto. Io rispondo sempre che ciò che voglio non è necessariamente un contratto a tempo indeterminato ma pretendo una scuola migliore. Vedo colleghi farsi la guerra. In questi giorni prima dell’inizio del nuovo anno scolastico le diatribe sono accese più che mai. Sono del parere che non esistono Gae, GM, GI, DM, GRAME. Esistono i docenti. Sono un’appassionata di film.

Ho visto il Signore degli anelli almeno 3 volte (tutta la saga).

La battaglia per la Terra di Mezzo viene vinta solo quando tante categorie diverse decidono di unirsi e spendere le proprie energie per convergere in un unico obiettivo: salvare dal male la terra di mezzo. Sono convinta e il mio motto,  per chi mi conosce lo sa, è Tanti rami , una sola linfa. La scuola è un grande albero e noi siamo tanti rami. Ma la linfa è una sola: i bambini, i ragazzi, gli studenti.

Senza di loro il nostro non sarebbe un lavoro diverso da tutti gli altri. Non è una missione, ma una professione delicata che va svolta con amore e con passione. Il giudizio che l’opinione pubblica ormai ha di noi non è del tutto positivo e il governo non ci aiuta, anzi spesso contribuisce a dare chance a chi non sa cosa sia la scuola, di farsi un’idea sbagliata.

Gli ultimi decreti, le leggi, l’incertezza in cui siamo stati catapultati da mesi non ci aiuta e piuttosto alimenta i dissidi tra noi. Molti colleghi si sono lasciati coinvolgere in battaglie tra loro talmente dure e prive di rispetto che non ci fanno fare certo bella figura davanti alle famiglie.

Ma quel che è peggio sta nel fatto che questo comportamento lede i diritti di base dei soggetti del nostro lavoro. Le ultime  richieste portate al governo da parte di una folta “categoria” testimoniano come purtroppo per molti insegnanti il fine ultimo del proprio lavoro sia il “posto sotto casa” e per raggiungere tale obiettivo si è disposti a passare oltre quello dei bambini e in particolar modo dei bambini diversamente abili.

La scuola pubblica garantisce ai diversabili la presenza di docenti di sostegno, specializzati ad affrontare i diversi bisogni educativi dei singoli. Sappiamo però che il numero dei docenti con i titoli sul sostegno è nettamente inferiore rispetto alla richiesta. Questo ha significato per anni la scelta di convocare docenti di posto comune dalle Gae e dalle graduatorie d’istituto pur di non lasciare senza un minimo aiuto il bambino diversabile. Questo ha comportato anche che nelle regioni del Sud molti precari abbiano potuto assicurarsi un contratto annuale.

La mobilità spesso utilizza questi posti, ne siamo tutti consapevoli. Ma quest’anno la richiesta con petizione a seguito di assegnare questi posti a chi ha volontariamente ha accettato un ruolo con il piano nazionale, consapevole del vincolo triennale, ha fatto scatenare il peggio di molti docenti. Reclamare un diritto di precedenza sui precari (che già stentano a lavorare) affermando che un docente di ruolo anche senza titolo sul sostegno è preferibile ad un docente precario (su quali criteri poi non e’ dato sapere) è di una ipocrisia oltre ogni limite oltre che strumentale al proprio egoismo.

Leggo di diritti di chi ha vinto due concorsi su chi invece è in gae, osservo chi pretende che il proprio diritto di diplomato magistrale venga riconosciuto prima di chi ha lavorato con la seconda fascia, resto attonita davanti a chi si ribellano perché il proprio diritto ad avvicinarsi a casa venga prima di chi è supplente ma sta nella propria provincia. Leggo di diritti di ogni tipo. Mai una volta in queste lunghe conversazioni intrise di polemiche e di insulti leggo di diritti dei bambini. I bambini, unico vero soggetto del nostro meravigliosi e complicato lavoro.

I bambini diversabili fine ultimo e concreto del nostro studiare e non mezzo per facilitarci il nostro percorso lavorativo. Ho rifiutato i posti sul sostegno quando sono stata convocata per questi contratti perché non essendo specializzata su questo, temevo di non essere all’altezza dei bisogni di questi studenti. Ho avuto paura che il mio amore per la scuola potesse non bastare. Ho avuto lo scrupolo che le necessità vanno riempite con la conoscenza oltre che con la dedizione. Lo scorso anno ci ho provato però. E ho studiato da sola, a casa, mi sono informata in biblioteca, ho seguito poi un corso universitario. E mi sono resa conto di aver ragione.

I bambini diversabili hanno bisogno di essere scelti con consapevolezza e responsabilità. Non è un lavoro come un altro. Ci vuole di più, molto di piu di un semplice sedersi accanto. Non si può pretendere di voler andare in assegnazione provvisoria sul sostegno perché è il mezzo più rapido di ritorno a casa. I bambini non sono un treno. I bambini diversabili sono una risorsa infinita per chi insegna loro, sono un mondo complicato e allo stesso tempo incredibilmente soddisfacente da seguire.

Serve amore, dedizione, preparazione, autorevolezza, dolcezza, conoscenza, forza d’animo. Sbagliare visione in questa ottica fa crollare ogni pilastro, un passo falsato e si può rischiare di perdere il poco che si è ottenuto. Il diritto di un bambino diversabile è di avere accanto l’insegnante che lo ha scelto perché lo ha voluto davvero, perché il suo cuore e la sua passione al lavoro l’ha guidata. Un bambino diversabile ha bisogno di avere la continuità didattica ed educativa di una maestra o di un maestro che abbiano come primo obiettivo quello di aiutare un cucciolo d’uomo a crescere, a camminare da solo, a saperle la cavare fuori dalla scuola.

Ad un bambino, in classe non importa que decreto abbia portato la sua maestra da lui e non si chiede se quella maestra aveva un diritto di precedenza o meno su di una collega. Un bambino a scuola ha solo voglia di sapere che non sarà solo e che sarà amato ed aiutato come fa la sua mamma a casa. Io sto dalla parte dei bambini.