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Fondi europei alle scuole: si fa sul serio o sono solo “parole, parole, parole”?

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L’annuncio d Matteo Renzi relativo al possibile utilizzo a favore della scuola di fondi europei non utilizzati dalle Regioni suscita più di una perplessità.
I fondi in questione, infatti, non possono essere utilizzati liberamente dagli Stati membri dell’Unione ma devono riferirsi ad obiettivi generali fissati in modo molto preciso a livello europeo.
Non solo, ma, anche se rispettano obiettivi previsti dalla Commissione Europea, all’interno di ciascun Paese devono essere spesi in determinate regioni allo scopo di contribuire al divario esistente fra le diverse aree territoriali.
C’è poi da aggiungere che molto spesso i fondi devono riguardare progetti che coinvolgono anche altre regioni europee (in genere è necessario che il programma riguardi almeno tre Paesi diversi).
Senza contare il fatto che la gestione è sempre molto complessa e richiede un apparato contabile decisamente molto “solido”, tanto che nel corso degli anni sono nate in tutta Italia (e anche in altri Paesi) società di consulenza che di mestiere si occupano di progettazione europea.
E, per concludere, una parte dei fondi viene spesso erogata “a consuntivo” in modo tale che il soggetto che realizza il progetto deve disporre anche di una certa “liquidtà” per poter anticipare almeno una parte delle spese
Insomma,  non ci sembra che le scuole italiane siano oggi in grado di reggere una progettazione di questo genere che richiede una struttura organizzativa importante.
Non vorremmo che, per ovviare a questo problema, il Ministro incominciasse a usare la solita formuletta magica delle “reti di scuole”, perché a conti fatti ci dovrà poi sempre essere la segreteria di una scuola per gestire il progetto sotto il profilo contabile. Forse sarebbe bene che i tecnici del Miur approfondiscano subito la questione per evitare che fra due tre mesi si sia costretti ad inserire questo annuncio di Renzi in una delle strofe della mitica canzone di Mina “Parole, parole, parole”.