
Ritorna l’appuntamento settimanale con la rubrica Scienze per la Scuola: oggi parliamo di attenzione degli studenti.
La durata media dell’attenzione negli esseri umani si è abbassata, dal 2000 al 2013, dai 12 agli 8 secondi (meno del pesce rosso, al quale si attribuiscono 9 secondi di tenuta attentiva). E’ un dato riportato da Alyson Gausby (Microsoft Canada), in un noto (e controverso) report del 2015, dal titolo Attention spans, sul consumatore contemporaneo nel Paese nordamericano nel suo rapporto con i dispositivi digitali.
Le ricerche confermano il dato incontrovertibile di una progressiva frammentazione della capacità di attenzione, soprattutto nelle nuove generazioni. E chi insegna ne ha una lampante e triste controprova nel suo quotidiano lavoro in classe.
Fra le principali cause di questo fenomeno viene individuata la precocità digitale e all’uso dei social media e l’abitudine al multitasking (oggi, sempre più spesso nella versione multi-screening, quando si lavora cioè, nello stesso tempo, con schermi diversi (fra TV, tablet, smartphone o computer).
Le componenti dell’attenzione più danneggiate dall’uso dei dispositivi digitali
Secondo vari studi (fra cui quello della Microsoft), le funzioni più danneggiate da un uso massiccio e precoce di smartphone e social media sono l’attenzione selettiva (la capacità di focalizzarsi su uno o più stimoli-target e di inibire l’elaborazione di possibili stimoli concorrenti) e l’attenzione sostenuta (quella che serve per portare a termine un compito che, per la sua complessità, richiede un certo tempo di concentrazione). Risultano invece un po’ migliorate l’attenzione alternata (quella che consente di passare rapidamente da un compito all’altro) e l’attenzione divisa (la capacità di selezionare ed elaborare più stimoli contemporaneamente, come quando si affrontano determinati compiti nello stesso tempo).
Insomma, rispetto al passato, siamo migliorati nel multitasking, ma siamo sempre meno capaci di mantenere la nostra concentrazione focalizzata quanto basta per portare a termine un compito in maniera efficace ed efficiente.
Perché social e smartphone hanno un ruolo nella frammentazione dell’attenzione
Le app presenti negli smartphone sono ingegneristicamente costruite in modo da “sequestrare” la nostra attenzione sui loro contenuti. E’ la nostra attenzione il loro “bene primario”. E per assicurarsi questo bene, sempre più conteso e carente negli individui, utilizzano i potenti meccanismi neurofisiologici del cosiddetto circuito della ricompensa, una rete neurale che si attiva utilizzando come modulatore la dopamina, il cosiddetto ormone del piacere, nonché importante motore neurobiologico della nostra motivazione.
Facciamo un esempio che riguarda i social. Già l’attesa della notifica di risposta a un mio post precedente determina in me un rilascio di dopamina e questo fa sì che io, non appena sento il relativo bip, sia indotto ad aprire l’app e ad accedere al suo contenuto (audio, video, testo linguistico, meme, emoticon, ecc.) a cui si riferisce la notifica, da cui posso ricevere una qualche gratificazione. E così via, in un percorso di entrata-uscita e di deviazioni continue dalla mia occupazione principale del momento (lo studio, ad esempio). E’ come viaggiare in autostrada, imboccando però continuamente rampe d’uscita e rampe di rientro. Con tutto il consumo di tempo e risorse che questo può comportare. Fra l’altro, questo meccanismo di gratificazione entra in gioco in modo ancora più potente quando non si è certi del risultato positivo (non è detto che nessuno risponda al mio post o che lo faccia positivamente): è il principio della cosiddetta ricompensa variabile.
Effetti della frammentazione dell’attenzione sullo studio e sul rendimento scolastico
Il cosiddetto task switching cost è il costo cognitivo che paghiamo nel passaggio continuo ad altri stimoli rispetto a quelli che stavamo affrontando poco prima. Questo passare da un focus attentivo all’altro (pensiamo al caso delle notifiche che arrivano al nostro cellulare: mediamente, una al minuto) determina nei soggetti tempo in più per completare un compito e maggiori probabilità di non riuscire a portarlo a termine.
Il progetto di ricerca Eyes Up (EarlY Exposure to Screens and Unequal Performance), realizzato dall’Università di Milano-Bicocca (in collaborazione con altri enti e università) e finanziato dalla fondazione Cariplo, partito nel 2023, ha seguito più di 6.600 studenti delle scuole superiori in Lombardia, analizzando longitudinalmente le prove Invalsi che questi ragazzi avevano affrontato nel tempo. L’obiettivo era quello di individuare possibili correlazioni fra precocità e intensità dell’esposizione ai nuovi strumenti digitali e il rendimento scolastico di questi studenti.
Il Report finale, dal titolo Precocità digitale, performance scolastiche e disuguaglianze, ha rilevato in modo inoppugnabile il forte impatto negativo di quella esposizione ai dispositivi digitali sul rendimento scolastico (se ne riportano qui, attraverso uno screenshot, le conclusioni).

Il Report esprime infine una riflessione: “Il digitale nelle scuole arriva prima dell’educazione al digitale”, è arrivato cioè “senza un’adeguata formazione per studenti, docenti e famiglie. Da più voci è emersa una tensione tra il desiderio di integrare le tecnologie nella didattica e la difficoltà di gestirne gli effetti negativi, soprattutto sulla concentrazione e l’attenzione, ma anche nell’impatto che la pervasività del digitale ha sul benessere complessivo dei ragazzi”.
Possiamo pienamente sottoscrivere queste parole.
Interessante anche il dato, presente nel report finale, che vede una correlazione fra il livello culturale dei genitori e l’accesso precoce a dispositivi digitali e account social. I genitori che non hanno un diploma tendono a far avere ai figli dispositivi digitali già prima della quarta primaria nel 17.7% dei casi, contro il 7.6% dei genitori che sono entrambi in possesso di una laurea. Percentuali simili valgono per il primo accesso ai social: il 15.6% dei genitori senza diploma contro l’8.5% delle famiglie con due genitori in possesso di laurea.

