
Da una notizia di Tecnica della scuola e da altre fonti in rete apprendo in queste ore dell’investimento di 450 milioni di euro annunciato dal Ministro Valditara per formare i docenti sull’intelligenza artificiale e introdurre concetti come gli algoritmi già alle scuole primarie. Personalmente, in quanto tecnico informatico da anni, sono per l’uso consapevole della tecnologia.
Tuttavia, sento di dover esprimere qualche perplessità su questa scelta, non tanto sull’uso della tecnologia in sé, quanto sulle priorità che si stanno dando. In Italia, la scuola vive da anni problemi ben più urgenti: la mancanza di docenti, il precariato che pesa su tanti insegnanti costretti a lavorare nell’incertezza, la carenza di attrezzature di base per una didattica efficace e i tagli di ore di didattica per molte discipline.
Molte scuole cadono letteralmente a pezzi, con problemi strutturali e di agibilità. Ci sono classi sovraffollate, con 25-30 alunni per aula, rendendo difficile garantire quella didattica personalizzata di cui si parla tanto. In queste condizioni, parlare di innovazione e intelligenza artificiale rischia di sembrare fuori luogo.
Da altre fonti in rete si fa riferimento anche a un impegno del ministro per aiutare i Paesi africani, dove mancano decine di migliaia di docenti. È importante sostenere le realtà in difficoltà nel mondo, però resta difficile capire come si possa guardare altrove quando, qui in Italia, migliaia di docenti precari lavorano ogni giorno nell’incertezza, senza la serenità necessaria per svolgere al meglio il proprio compito educativo.
È difficile parlare di futuro quando ci sono classi che cambiano cinque o sei insegnanti durante l’anno, compromettendo la continuità didattica e influenzando negativamente il rendimento e il benessere degli studenti.
Considero la tecnologia, e l’intelligenza artificiale in particolare, come uno strumento: un mezzo utile per raggiungere un obiettivo, non un fine in sé. Proprio come un cacciavite serve per svitare una vite o un martello per piantare un chiodo, la tecnologia dovrebbe essere al servizio dell’essere umano, facilitando il lavoro o migliorando l’efficienza. Allo stesso modo, un computer ci aiuta a elaborare dati o scrivere un documento, ma non può sostituire la creatività e l’intuizione umana. L’intelligenza artificiale può essere utile in molti ambiti, ma non potrà mai trasmettere empatia o comprendere le emozioni degli studenti.
Molte correnti pedagogiche, da Maria Montessori a Lev Vygotskij, sottolineano l’importanza dell’apprendimento attraverso l’osservazione e l’interazione con figure umane.
Secondo la pedagogia montessoriana, ad esempio, i bambini apprendono meglio in un ambiente stimolante dove possono osservare e imitare il comportamento degli adulti e dei pari. Vygotskij parlava di “zona di sviluppo prossimale”, ossia quello spazio in cui l’apprendimento avviene grazie alla guida di un adulto o di un pari più esperto. L’interazione umana è quindi alla base del processo educativo, e difficilmente un’intelligenza artificiale potrà replicare questo tipo di rapporto.
C’è poi un altro aspetto che preoccupa. Già oggi vediamo quanto la tecnologia, se usata senza criterio, abbia portato giovani e adulti a isolarsi sempre di più dietro uno schermo. Ragazzi che preferiscono comunicare tramite chat invece di parlarsi di persona, che passano ore sui social invece di vivere esperienze reali. L’uso eccessivo dell’IA a scuola rischia di accentuare l’isolamento, ostacolando la costruzione di relazioni autentiche. Un algoritmo non può sostituire il confronto diretto, lo scambio di idee, l’empatia che nasce dal guardarsi negli occhi. La scuola deve essere prima di tutto un luogo di incontro e condivisione, non solo un ambiente tecnologico.
Introdurre l’IA a scuola può essere una grande opportunità, ma se mancano gli insegnanti, se le scuole non sono sicure, se le classi sono sovraffollate e si tagliano ore alle discipline fondamentali, rischiamo di perdere di vista ciò che è davvero importante: il rapporto umano tra docente e studente. La tecnologia deve essere un supporto, non un sostituto. Non basta investire nell’innovazione se poi lasciamo indietro le persone.
Fabio Gangemi