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Tavola rotonda a Milano sui temi della scuola pubblica e su quella paritaria

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La UIL scuola Lombardia ha organizzato la tavola rotonda “Scuole pubbliche statali, scuole pubbliche paritarie, scuole del mercato. Tesi a confronto”.

Ecco il resoconto a cura di Maria Teresa Golfari

Al Liceo classico statale Carducci si è tornato a parlare di scuola, in un dibattito a 360 gradi, con la passione di chi ha a cuore il sistema scolastico, primo fattore propulsivo di un Paese, sia a livello socio-culturale sia a livello economico.

Il segretario generale della Uil Scuola, Pino Turi, il docente universitario di politica economica Paolo Ramazzotti, il professore di storia del Liceo Carducci Francesco Schianchi, personalità politiche quali la senatrice Valeria Fedeli, l’onorevole Valentina Aprea, l’onorevole Camilla Sgambato e esperti del mondo della scuola come suor Anna Monia Alfieri, moderati dalla giornalista del Corriere della sera Valentina Santarpia, hanno dato vita a un animato dibattito.

Una parte del tempo è stata dedicata a discutere su a chi appartiene la scuola. Allo Stato? Alla politica? Al mercato? Ai genitori? Vecchie questioni. Nel terzo Millennio abbiamo sentito affermare dal segretario della UIL Turi che non “crede” nei test Ocse, Pisa e Invalsi, perché legati al mercato, che Lo Stato deve essere garante, gestore e controllore della scuola e che l’idea del costo standard di sostenibilità per studente è sbagliata, né nuova, né originale, perché ne parlava già Calamandrei.

Il professore di storia Schianchi, dopo aver illustrato la visione della scuola contenuta nella Costituzione, una scuola che deve essere educativa, inclusiva, solidale, laica e pluralista, sì è scagliato contro la scuola cattolica che perseguirebbe fini di indottrinamento, selezione e profitto, citando, a conferma della sua tesi, un articolo della rivista “La civiltà cattolica” del 1918.

Il professore universitario Ramazzotti, dopo aver chiarito la differenza tra “pubblico” e “privato“ e aver affermato che è difficile applicare alla scuola il concetto di concorrenza, facendo riferimento all’art. 5 della Legge sulla parità 62 del 2000, ha sostenuto che l’eventuale presenza di volontariato nella scuola paritaria è concorrenza sleale. Inoltre la scuola paritaria, offrendo servizi a pagamento, produce discriminazione sociale e profitto.

I mezzi utilizzati dalle scuole paritarie per perseguire i propri fini “sono la contrapposizione mercatistica ed efficientistica con la scuola pubblica, le connivenze politiche, ideologiche convergenti nel privilegiare il privato al pubblico, la mortificante interpretazione della sussidiarietà, i diritti delle famiglie confessionali, le Amministrazioni Regionali disponibili a convergere nel rivendicare una autonomia differenziata discriminante ed escludente”.

L’intervento delle donne presenti al tavolo è riuscito a inquadrare meglio le questioni. La senatrice Valeria Fedeli ha evidenziato che su un tema sensibile come è quello della scuola non si può essere divisivi. È una questione di senso di responsabilità civile, che va oltre l’ideologia. È giusto dunque discutere ed è per questo che da Ministra della Repubblica, nel novembre 2017, ha costituito una Commissione composta da esperti, cioè da persone che hanno titolo a parlare di educazione, istruzione e lavoro. La Commissione, ancora di fatto esistente, ma mai convocata a causa della fine della precedente legislatura, ha alcuni punti fermi nella sua scaletta di lavoro.

Innanzitutto il punto di partenza imprescindibile è la legge dello Stato, la cosiddetta legge Berlinguer, del 2000, una legge che rispetta i vincoli della Costituzione e che definisce la scuola italiana come un sistema composto dalle scuole pubbliche statali e pubbliche paritarie. Oggi è necessario convocare la Commissione per chiarire che cos’è il pluralismo, per riflettere sulle varie soluzioni, anche confrontandosi con l’Europa dove ad esempio il costo standard è una delle formule attuate, e per dirimere questioni chiave come la selezione dei docenti e dei programmi.

La stessa esigenza è stata espressa dell’onorevole Sgambato, responsabile scuola del Pd. Dopo aver evidenziato i punti salienti della Legge Berlinguer, ha affermato il ruolo fondamentale della scuola nel combattere le disuguaglianze e la necessità di valorizzare maggiormente i docenti, sia dal punto di vista della formazione sia dal punto di vista della carriera.

Un problema ormai evidente e non più eludibile, a tutti i livelli, scuola compresa, è il fatto che stiamo usando male i soldi della fiscalità generale. Un esempio tra tutti: ciascun studente nel suo percorso, dai 6 ai 18 anni, nella scuola statale costa circa 90mila euro delle tasse degli italiani, praticamente come un coetaneo dei Paesi occidentali. Perché abbiamo il doppio della dispersione scolastica, il 16% in meno dei laureati e gli insegnanti significativamente sottopagati?

Perché esiste disparità tra un centro-nord Italia dove gli studenti sono in linea con la media europea rispetto a leggere, scrivere, far di conto e coding, e un sud Italia in cui quasi il 50% degli alunni fatica a comprendere un testo scritto? In linea con questi interrogativi si è posta Valentina Aprea nell’ipotizzare la necessità per tutte le scuole, pubbliche statali e paritarie, di riaccreditarsi presso lo Stato utilizzando il costo standard come uno dei parametri di valutazione, accanto agli elementi di innovazione ormai imprescindibili per la scuola del terzo millennio, ovvero la cittadinanza digitale e le soft e life skills.

Il sistema scolastico italiano ha dunque urgente bisogno di nuova linfa, che può venire, numeri alla mano, dal costo standard di sostenibilità per studente, come dimostrano gli studi di suor Anna Monia Alfieri, laureata in giurisprudenza ed economia, da un decennio parte attiva e propositiva nel mondo della scuola in tutta la concretezza che le deriva dal fatto di vivere in prima persona l’esperienza scolastica a più livelli in Italia. Non le interessano i contributi alle scuole paritarie, li eliminerebbe del tutto.

Le interessa che i genitori siano messi nelle condizioni di poter esercitare il diritto-dovere di istruire ed educare i figli (Costituzione, art. 30), che tutti gli studenti, compresi quelli disabili, abbiano parità di accesso a un insegnamento di alta qualità e che le scelte politiche siano a garanzia dell’enorme e pluralista patrimonio culturale italiano.

La soluzione espressa con il concetto “costo standard di sostenibilità per studente” si fonda su due consapevolezze di base. La prima è quella di tenere in alta considerazione la qualità dell’istruzione con la convinzione che tutti gli studenti possono aspirare ai più alti livelli di conoscenza. La seconda è quella di investire sulle competenze degli insegnanti che possano evolvere in un ambiente di lavoro favorevole alla collaborazione e allo sviluppo professionale.

Su questi due presupposti si devono costruire gli investimenti per ridurre il peso delle circostanze familiari ed economiche sulle opportunità di successo educativo, nonché le azioni necessarie per bilanciare l’autonomia delle scuole con strumenti di governo centrale chiamato ad assicurare la coerenza delle politiche. Solo in un quadro del genere si può inserire adeguatamente tutto il complesso tema del mercato.

Il costo standard avrebbe così dei benefici effetti sul sistema scolastico italiano: una sana concorrenza fra le scuole sotto lo sguardo garante dello Stato, l’innalzamento del livello di qualità del sistema scolastico con la naturale fine dei “diplomifici”, la valorizzazione dei docenti e l’abbassamento dei costi per alunno con possibilità di liberare risorse a favore della scuola.