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Anno zero dell’informatica nella scuola

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E se la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini ha esultato: «Questa è la buona scuola di cui possiamo andare fieri. Una buona scuola che continua ad affermarsi a livello mondiale», l’amara realtà, però, è che fatti come questo possono ascriversi alle «eccezioni» virtuose di cui si parlava prima.

 

 

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Dice il presidente dell’Associazione nazionale Docenti di Informatica, al DiariodelWeb.it: “Da quanto previsto dai decreti di legge, attualmente l’informatica è prevista solo in alcune scuole secondarie superiori, negli istituti tecnici e nei licei delle scienze applicate. A livello di scuole primarie e secondarie di primo grado, al momento attuale non è previsto l’insegnamento della disciplina. A tale riguardo il Ministero proprio quest’anno ha avviato una sperimentazione, “Programma il futuro”: questo consiste nella proposta, a livello di scuola primaria, di una serie di lezioni già codificate a livello internazionale su una piattaforma web, che sono state tradotte in italiano. Questo progetto è stato proposto in via sperimentale a tutte le scuole, ma è pensato principalmente per quelle primarie. E’ però una sperimentazione, la presenza della disciplina informatica nelle elementari e nelle medie non è codificata da nessuna parte. Tale sperimentazione (che sta avendo tra l’altro un discreto successo) è promossa dal CINI in collaborazione con il MIUR, e noi come associazione abbiamo offerto la nostra collaborazione a titolo gratuito: i fondi, infatti, non ci sono; gli annunci sono tanti, ma poi ci scontriamo con i fatti concreti”.

A livello di scuola media “c’è davvero poco. In alcune scuole, nell’ora delle vecchie Applicazioni tecniche, alcuni docenti fanno un po’ di ECDL, che però non è possibile chiamare «informatica»: è soltanto un’alfabetizzazione di base su come si usa lo strumento informatico. Secondo le statistiche, ciò di cui ha bisogno il mondo del lavoro sono programmatori, non persone capaci di usare il computer, competenza che tutti dovrebbero avere”.

In quanto alle scuole secondarie superiori, negli istituti tecnologici ad indirizzo informatico c’è stato un rafforzamento della disciplina, ma anche negli istituti tecnici del settore economico fino al quarto anno di due articolazioni su tre; nell’indirizzo informatico, la disciplina dura fino alla quinta, ha un monte ore più consistente e può essere oggetto di Esame di Stato.

La materia, negli istituti professionali, è invece stata sminuita e, laddove è stata introdotta, «spesso accade che a insegnarla siano gli ex docenti di «Trattamento testi», che erano i vecchi dattilografi senza competenze di programmazione». Nei licei, solo il liceo delle scienze applicate prevede l’insegnamento dell’informatica, e non più solo nel triennio, «ma dal primo al quinto anno, con due ore settimanali, e un po’ di studio della programmazione».

Complessivamente, dunque, l’Italia, rispetto ad altri Paesi Europei, «è indietro. L’unica iniziativa virtuosa, ad oggi, che fa capire che l’informatica non è l’ECDL è questa sperimentazione di “Programma il futuro». Poche persone si spingono fino all’ottica della programmazione del pensiero computazionale, e molti concepiscono ancora l’informatica come uso dello strumento informatico: tale atteggiamento non può che farci rimanere indietro». Quali, le cause di tale ritardo del nostro Paese? Secondo la Presidente di ANDINF, una delle ragioni può essere lo stato in cui versa l’informatica in Italia, spesso poco battuta e poco studiata; ma «un po’ questa situazione dipende anche dal fatto che il mondo imprenditoriale, in Italia, ha sempre valorizzato poco la figura tecnica: le figure più premiate sono quelle commerciali, anche in termini di salario e di prospettiva di carriera. C’è una responsabilità culturale dell’intero sistema-Paese; banalmente, è più facile consigliare ai propri figli di intraprendere studi commerciali piuttosto che informatici, se vorranno mantenere una famiglia. Eppure, l’informatica sarebbe una risorsa per il Paese: se non si hanno dei buoni tecnici, non si può andare avanti vendendo fumo».

D’altronde, lo stato generale dell’informatica nel nostro Paese, anche al di fuori delle scuole, non è certo eccellente e dopo la scomparsa della Olivetti, il declino dell’informatica italiana è stato accelerato, quasi paradossalmente, dal contemporaneo emergere della tecnologia delle comunicazioni mobili e dal fenomeno della convergenza-integrazione di informatica, elettronica e telecomunicazioni.

Il risultato immediato di questo fenomeno è stato l’oscuramento della centralità delle tecnologie informatiche e soprattutto del software, leva operativa per tutti i settori in fase di convergenza, e la trasformazione dell’informatica in commodity, con il conseguente disinteresse per le attività di ricerca e sviluppo e per gli investimenti nell’innovazione. Una situazione peggiorata ulteriormente dalla debolezza della nostra industria e dalle cattive politiche pubbliche degli ultimi decenni. Una mancanza di visione, insomma, che sconteremo in competitività e sviluppo. E allora si può pure gioire di casi isolati di eccellenza, ma, innanzitutto, si dovrebbe far in modo che, come in altri Paesi, quella che per noi è l’eccezione virtuosa diventi la norma da seguire.