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“Professori, insegnanti di sostegno e ricercatori sono forse le persone più maltrattate d’Italia”: il pensiero della scrittrice Porcelli Safonov

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La scrittrice e storyteller, Arianna Porcelli Safonov, intervistata dal Corriere della Sera, parla di scuola, ma soprattutto di docenti e studenti, tornando sul palco con il monologo Sussidiario Mistico. Uno spettacolo che affronta con ironia e profondità la crisi dell’istruzione, il rapporto (sempre più fragile) tra scuola, studenti e famiglie, e l’idea stessa di cultura come strumento di crescita.

“Oggi professori, insegnanti di sostegno e ricercatori sono forse le persone più maltrattate d’Italia“, spiega. “Il mito più grande? Che il bambino ci venga dato dagli dei e non sia più possibile forgiarlo”. E aggiunge: “Con questo monologo voglio ribaltare i canoni, partendo da una domanda semplice: a cosa serve studiare?”

Nel racconto c’è spazio anche per la sua esperienza personale: “Ho immaginato il monologo come un regalo per chi ancora ama studiare. Vengo da una carriera scolastica mediocre, segnata dal bullismo. Ma ho cercato, come sempre, di partire da un aneddoto autobiografico simpatico”.

Quell’aneddoto è un’infanzia passata “reclusa” nella biblioteca di casa: “Da bambina avevo difficoltà ad andare in bagno, così i miei genitori mi chiudevano per ore con il mio vasino giallo tra i libri. Lì ho imparato a leggere, ma soprattutto ad amare il libro come oggetto”.

Secondo Safonov, oggi manca soprattutto il rispetto per l’istituzione scolastica: “Il professore è visto solo come un nemico che maltratta nostro figlio. Le materie alimentano solo la competizione”.

Eppure, nel suo Sussidiario Mistico c’è anche uno spiraglio positivo: “È l’unico monologo che finisce con un po’ di speranza. Studiare vale anche solo per quel minuto di silenzio in cui chi non sa più cosa dire, tace. E chi ha studiato può parlare”.

Nel suo spettacolo immagina anche nuove materie: “La prima è il galateo. La seconda l’ora di metallo pesante: i metallari sembrano cattivi, ma sono ragazzi gentili da cui c’è solo da imparare. E infine, musica: per educare al gusto musicale personale, non alle hit del momento”.

Quanto all’educazione sentimentale, conclude: “Vorrei che non fosse necessario insegnare ad avere cura dell’altro a scuola. Il fatto che certe cose non si possano imparare è, in fondo, una buona notizia”.

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