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Tiro al docente, niente processo alla prof che in una nota sul registro definì l’alunno “maleducato”

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Denunciata per una nota sul registro. Notizia resa nota solo pochi giorni fa. Nei confronti della Docente, “colpevole” di aver scritto sul registro una nota disciplinare ad un’alunna definendone il comportamento “estremamente maleducato”, era stato chiesto il rinvio a giudizio, con gravi ricadute sulla sua salute. Reato ipotizzato: “diffamazione aggravata”; difatti il registro elettronico è pubblico, e in tal modo la diffamazione diventava addirittura “a mezzo stampa”. Per fortuna, come riporta La Repubblica, in tribunale la donna non è mai andata perché il PM e il GIP hanno deciso, intelligentemente, di archiviare il caso. Perché il suo comportamento è stato considerato dal magistrato “estrinsecazione dei doveri di insegnante”.

Non è che un episodio a conferma della moda del Duemila: il tiro al Docente. Venti secoli di calunnie hanno costruito contro i fedeli della religione ebraica tutto quel complesso di luoghi comuni e idiozie che oggi chiamiamo antisemitismo. Per innalzare contro i Docenti italiani un castello di sciocchezze e banalità, invece, sono bastati trent’anni di serrata propaganda governativa.

Ed ecco il trend: docenti disprezzati, diffamati, irrisi, accusati, offesi, pugnalati. E non da ora, ma da anni, anche se nell’ultimo periodo il fenomeno (tutto italiota) ha cominciato a risuonare sui media con le note tragicomiche di un crescendo rossiniano. Frequenti su Facebook le calunnie contro la classe docente: qualcuno arriva addirittura a considerare gli insegnanti come “i peggiori evasori fiscali” (nel Paese delle società offshore e dell’ex Presidente del Consiglio condannato per frode fiscale!).

Delitto premeditato

In realtà si sta compiendo un disegno che risale agli anni ‘80: la distruzione della figura del Docente, preliminare alla distruzione della Scuola pubblica e della sua funzione di ascensore sociale per i figli delle classi subalterne.

E il bello è che il sistema mediatico mainstream (guarda caso sulla stessa linea di tutti i Governi) è riuscito a convincere proprio le classi subalterne che il loro peggiore nemico sono professori e maestri: ossia quei professionisti dell’istruzione la cui libertà di insegnamento (e di pensiero) la Costituzione tutela, al fine di conferire loro il compito, pieno di intrinseca dignità, di rimuovere gli ostacoli di ordine culturale che impediscono a larghi strati della popolazione di partecipare alla vita democratica del Paese.

Il primo atto di guerra contro gli insegnanti (colpevoli di aver vinto le lotte degli anni Ottanta organizzandosi nei “comitati di Base” al di fuori dei Sindacati concertativi) fu il Decreto Legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, che ficcò a forza i Docenti delle Scuole (ma non quelli delle Università) nel Pubblico Impiego, privatizzandone il rapporto di lavoro e sottoponendoli al Preside (trasformato in “Dirigente Scolastico” e “datore di lavoro”), sebbene la libertà di insegnamento di cui sopra fosse garantita dall’articolo 33 della Costituzione e dai Decreti Delegati. Con il silenzio e/o l’esplicito assenso dei Sindacati di Stato.

Il passo successivo fu la cosiddetta “autonomia scolastica”, che in realtà aumentò i poteri dei Dirigenti Scolastici (e quindi dell’amministrazione centrale) nei confronti degli organi collegiali. La legge 107/2015 (cosiddetta “Buona Scuola”) ha completato l’opera, rendendo i Docenti sempre più ricattabili e intimoriti.

Il Paese che scelse il suicidio

Sembrerebbe da ridere, se lo screditamento dei Docenti (e della Scuola) non fosse in realtà un dramma che rischia di compromettere il futuro stesso della Penisola. Sì, perché la Scuola non è solo importante: la Scuola è il fondamento della democrazia e del futuro di una nazione. Quella società civile che sfoga le proprie frustrazioni affibbiando ai Docenti qualsiasi appellativo ed attribuendo loro ogni colpa, non si accorge di farsi male da sola. La distruzione delle potenzialità della Scuola ha comportato la deriva verso gli estremismi (specie quelli di destra): poiché quando non è più possibile conoscere la Storia, quando viene negata la possibilità di occuparsi realmente di contenuti che rendono le persone cittadini consapevoli, ogni mostruosità diviene possibile.

Il degrado sociale, politico, culturale cui stiamo assistendo è stato innescato da quella stessa politica che ha distrutto tutto lo Stato sociale, seppellendo la cultura (e la Scuola come istituzione) in nome del profitto, del finanziamento pubblico alle scuole private, dei grandi capitali. E questa scelta è stata fatta non solo per rendere i cittadini più realmente ignoranti, ma perché fossero incapaci di ostacolare la deriva mediante comprensione e conoscenza, fino a divenire quasi disumanizzati.

La democratizzazione della Scuola e l’accessibilità alla cultura erano state una grande conquista degli anni più lucenti del secolo scorso. Ora, dopo il “crollo delle ideologie” (definizione di comodo usata per mascherare il trionfo di un’ideologia unica e del pensiero “politicamente corretto”), dobbiamo far fronte a una società che neanche comprende più quella conquista; a una collettività che non considera nemmeno desiderabile la possibilità di emozionarsi di fronte a un’opera d’arte, a una poesia, a un capolavoro musicale, a una scoperta scientifica; a una nazione che si ritrova  depredata, deprivata e illetterata fino a livelli beceri di regressione oscurantista.

Un popolo che ormai altro non sa fare se non inveire contro i propri insegnanti: ossia contro gli ultimi baluardi che quel popolo difendono dall’imbarbarimento della sua stessa condizione di vita. Una massa non più in grado di capire che gli insegnanti erano un tesoro da comprendere, difendere, sostenere, perché costituiscono l’unica possibilità di salvezza loro e delle future generazioni; l’unica opportunità per poter progredire, non solo per la possibilità che la Scuola offre di prepararsi a un lavoro meno degradante, ma proprio per la coltivazione di un’umanità consapevole, pacificata e comprensiva.

Buona fortuna, Italia.