
Per molti docenti, precari e di ruolo, lavorare comporta un dispendio economico non di poco conto. Basta pensare a chi viaggia per molti chilometri per andare al lavoro. Questo è il caso di una insegnante di 44 anni di Matera, intervistata da La Repubblica.
Lei, fino allo scorso marzo, percorreva ben 700 chilometri ogni settimana per andare a lavoro, divisa fra tre plessi scolastici della Basilicata. Sino ad allora percepiva 950 euro mensili e di quei soldi le rimaneva neppure un terzo. “Di quei 950 euro, quasi 400 se ne andavano in benzina. A settimana spendevo 90, anche 100 euro, solo per andare da una scuola all’altra. E parliamo di tragitti quotidiani, non saltuari. Non c’erano alternative: o lo facevo, o rinunciavo al lavoro, e in quel caso avrei perso tutto — punteggio, continuità, opportunità future”, ha detto con amarezza.
“Poi c’erano da pagare le babysitter. Ho due figli piccoli, io e mio marito lavoriamo entrambi, e non abbiamo famiglie vicine a cui affidarli. Per tenere tutto in piedi dovevo pagare qualcuno che stesse con loro. Spendevo spesso 70-80 euro a settimana, a volte anche di più. Alla fine lavorare era diventato soltanto un modo per provare a restare a galla”, ha aggiunto.
Cosa è cambiato oggi
Inoltre, nel frattempo la docente ha frequentato il corso di abilitazione a Potenza: “Non c’erano colleghi con cui condividere il tragitto, perché avevamo orari diversi, plessi diversi. Qualche volta arrivavo trafelata, magari giusto in tempo per l’ingresso in aula, con appena il tempo di respirare. Dopo tutti i giri della giornata, la sera salivo in macchina e guidavo per arrivare in aula. Uscivo la mattina e rientravo anche dopo le 10 di sera. Il corso è costato 2.500 euro, e non ho nemmeno contato le spese extra per gli spostamenti. Sono scelte che sembrano personali, ma non lo sono: se non avessi fatto quel corso, oggi non starei lavorando”.
Ora la situazione è leggermente cambiata: “Guadagno qualche centinaio di euro in più, questo è vero. Ho un incarico fino al 30 giugno. Sono 18 ore: nove a Tricarico e nove a Matera. Così è più gestibile, con una sede nella mia città, ma resta un equilibrio precario. Ogni settembre si ricomincia da capo. Quando si lavora su più istituti, ognuno fa orario per conto suo. Non c’è una cabina di regia. Nessuno che metta insieme i pezzi per rendere la vita dei docenti più sostenibile. E alla fine, tutto si scarica su chi lavora”.
Il focus della Tecnica della Scuola
I docenti, almeno secondo la percezione generale, hanno perso autorevolezza, sono percepiti come semplici dipendenti statali e non come vere e proprie guide: ma cosa è cambiato nel tempo? Il motivo potrebbe anche essere il mancato riconoscimento economico, o le varie riforme della scuola che non hanno fatto altro che penalizzarli.
‘La Tecnica della Scuola’ con un focus interamente dedicato alla figura del docente, ha quindi cercato di rispondere a queste domande, soprattutto ha cercato di comprendere le motivazioni che hanno portato all’attuale poca considerazione per gli insegnanti.
Reclutamento docenti: 13 riforme in 35 anni, ma il precariato resta
Abbiamo cercato di tracciare una storia delle riforme del reclutamento dei docenti, dagli anni Cinquanta ad oggi, tra nascita dei “ruoli speciali transitori” fino all’algoritmo Gps, passando per SSIS e TFA. Ciò che emerge è che da sempre si è cercato di assumere docenti al di fuori delle procedure concorsuali classiche, “istituzionalizzando”, in questo modo, il precariato, ormai endemico.
Come diventare docente? Il reclutamento negli anni: la costante resta il precariato “istituzionalizzato”, quando nasce?
A questo proposito abbiamo sentito l’opinione di Gianna Fracassi, segretaria generale Flc Cgil. Ecco cosa ci ha detto: “Il sistema di reclutamento da almeno 15 anni subisce modifiche continue che, periodicamente, ridisegnano modalità di accesso alla professione, requisiti, percorsi di formazione in ingresso. La bussola seguita è stata l’improvvisazione, la ricerca di consenso rivolta di volta in volta a singole categorie o gruppi di interesse, con la formazione in ingresso appaltata a soggetti privati e università telematiche. I costi sono esosi e vengono scaricati sulle tasche dei precari”.
Fracassi ha fatto una importante proposta: “La formazione in ingresso deve diventare accessibile in forma gratuita un diritto esigibile per chi è precario”.
Reclutamento docenti: tante riforme, poco cambia. Fracassi (Flc Cgil): “Si improvvisa. Sì a formazione in ingresso gratuita”
Stipendi docenti
Al centro del nostro approfondimento, il confronto tra le paghe a metà degli anni Novanta e negli anni Duemilaventi. Ciò che emerge è che i docenti non hanno mai nuotato nell’oro. Nel 1997 portavano a casa circa due milioni e 243mila lire lorde al mese, che per il 62% erano assorbite dalle spese essenziali e per il 26,5% dall’Irpef. Stringendo la cinghia, spiega il segretario nazionale di Cisl Scuola Attilio Varengo, riuscivano ad accantonare qualcosa. Nel 2023 lo stipendio lordo mensile è di circa 2.290 euro, assorbiti per il 66% dalle spese essenziali e per il 28,5% dall’Irpef. In mano ai docenti non resta praticamente nulla.
Stipendi docenti inadeguati e “fermi” da 30 anni. Varengo (Cisl): “Più lavoro e spese, ma le paghe restano le più basse della PA”
Autorevolezza docenti
Se i soldi diminuiscono, il lavoro e le competenze dei docenti aumentano. Basti pensare alla formazione, alla burocrazia asfissiante, al rapporto con le famiglie, che portano via sempre più tempo. A fronte di tutto ciò, l’autorevolezza dei docenti è diminuita, come dimostrano i dati del Ministrero sulle aggressioni ai docenti, ben 133 solo tra il 2023 e il 2024. Un dato che un tempo sarebbe stato semplicemente impensabile. Per il pedagogista Daniele Novara, l’unico modo per restituire autorevolezza alla figura del docente è investire sulla formazione, tagliare la burocrazia e rilanciare un vero e proprio patto educativo con le famiglie.




