
Non solo scena muta: c’è chi all’orale della Maturità si è preso la soddisfazione di parlare. Questo è il caso di uno studente, neo diplomato con 100, che ha avuto un percorso tortuoso nella sua carriera scolastica e ha deciso di raccontarlo a Skuola.net.
GIUSTO BOCCIARE CHI FA SCENA MUTA ALL’ORALE DEGLI ESAMI DI STATO? PARTECIPA AL SONDAGGIO
La lettera
Ecco il testo integrale della lettera: “In questi giorni si è parlato molto di scuola, di giovani e di ribellione. In particolare, stanno facendo discutere le immagini di alcuni studenti che hanno scelto di rimanere in silenzio durante il colloquio orale dell’Esame di Stato. Una scena muta, pensata e lucida, che vuole essere un gesto politico: un rifiuto verso un sistema scolastico sentito come distante, selettivo, più attento alle performance che alle persone. Una scuola che ‘non valorizza le emozioni ma il rendimento’, e dove ‘i professori sembrano interessati ai voti più che ai volti’.
Da studente neodiplomato, non posso che ascoltare con attenzione queste parole. Anche io, in passato, ho provato quella sensazione di essere invisibile. Ho iniziato il mio percorso al liceo classico, con entusiasmo e passione, ma con il tempo mi sono accorto che qualcosa non stava funzionando: non nel piano di studi, ma nel modo in cui veniva vissuto. Sentivo che il mio valore non emergeva, che non c’era spazio per la mia creatività, per il mio modo di pensare, per il mio mondo interiore. Durante il periodo del COVID, quando tutto sembrava immobile, ho fatto invece un passo decisivo: ho scelto di cambiare.
Mi sono iscritto ad un IISS, e da allora il mio percorso ha preso una direzione completamente diversa. Non perché fosse più facile — non lo è stato affatto — ma perché finalmente ho trovato un ambiente dove potevo essere ascoltato. Dove non si premiano solo i risultati, ma anche l’impegno, la passione, la voglia di migliorare. Dove non sei un numero su un registro, ma un nome, una storia, una voce.
È in quella scuola che ho imparato davvero. Ho studiato la resilienza non solo come concetto, ma come pratica quotidiana. Ho imparato che il dolore può essere narrato, che l’empatia si costruisce nel silenzio e nella parola, che le emozioni sono risorse, non debolezze. Ho incontrato pensatori come Franco Basaglia, che ha combattuto l’alienazione con il riconoscimento umano; Françoise Dolto, che ci ha insegnato ad ascoltare anche ciò che non viene detto; e Alda Merini, la poetessa del margine, che con la sua fragilità ci ha indicato la forza delle ferite trasformate in versi.
In quella scuola, sono stato incoraggiato a pensare con la mia testa, a sentire con il mio cuore, a credere che la cura – per gli altri, ma anche per sé stessi – possa essere un gesto rivoluzionario. E soprattutto sono stato spronato a parlare, a comunicare, a raccontarmi. L’Esame di Stato non è stato per me un ostacolo, ma un’occasione: per dire chi sono, per fare sintesi di ciò che ho appreso, per offrire la mia testimonianza.
A differenza di chi ha scelto il silenzio, io ho scelto la voce. Una voce consapevole, che non si limita a ‘ripetere la lezione’, ma che vuole costruire senso, legare ciò che si studia alla vita vera. Perché è questo che dovrebbe essere, in fondo, l’Esame di Stato: non una performance da superare, ma un ponte tra ciò che siamo stati e ciò che vogliamo diventare. Non solo un giudizio, ma una narrazione. Un rito di passaggio che non sancisce chi è il ‘più bravo’, ma chi è pronto ad affrontare il mondo con gli strumenti che ha acquisito – nella mente e nell’anima.
Fuori dalla scuola, lo so, (già l’ho constatato) tutto sarà diverso. Ci saranno meno tutele, più ostacoli, più incertezze. Ma proprio per questo la scuola deve essere un luogo dove si costruiscono le fondamenta: della persona, del cittadino, del lavoratore e del sognatore. Deve allenarci non solo al problem solving, ma alla capacità di coltivare sogni, alla pazienza, alla tolleranza, all’immaginazione. All’essere umani.
Per questo, rivolgo un appello ai miei coetanei: non lasciate che vi spengano. Coltivate le vostre passioni, proteggete le vostre emozioni, sviluppate il vostro pensiero critico, la vostra sensibilità, la vostra creatività. Allenatevi a vivere, non solo a rispondere. Non abbiate paura di scegliere percorsi alternativi, come ho fatto io: ogni strada, se seguita con sincerità, ha dignità e valore. Non esistono destini minori, solo destini diversi. E il nostro compito è onorarli.
Il mio esame si è concluso con un 100. Ma quello che conta, oggi, non è il voto: è la coscienza di aver affrontato quel momento con verità. Di aver portato con me, davanti alla commissione, non solo il frutto di ore di studio, ma anni di trasformazioni, cadute, cambiamenti e rinascite.
È questo che rende l’Esame di Stato una prova significativa: non tanto ciò che chiedono gli altri, ma ciò che scegliamo di mostrare noi. È lì, in quel dialogo tra sapere e consapevolezza, che si gioca la vera maturità”.
I casi
Fare scena muta all’orale della Maturità per protesta contro il sistema scolastico basato sui voti sembra essere stata la moda degli Esami di Stato svolti nel 2025: anche se a farlo, per quanto ne sappiamo, sono stati 5 studenti su un totale di 500mila “maturandi”, cioè uno su centomila, praticamente lo 0,001%, in questi giorni non si parla d’altro. E anche se già in passato si erano verificati casi simili, che non hanno avuto lo stesso clamore mediatico di quest’anno.
Il primo è stato quello di uno studente di diciannove anni di Padova; poi c’è stato il caso di una studentessa di Belluno che si è lamentata con i docenti che non l’hanno mai voluta conoscere davvero. Successivamente è venuto il turno di un altro studente veneto, di Treviso, di uno studente di una scuola privata di Firenze e infine di una studentessa della provincia di Pesaro e Urbino demoralizzata da un sette in condotta. Oggi si è saputo anche di un altro caso, il sesto ma il primo in ordine di tempo.
Il pugno duro di Valditara
Ad intervenire, con fermezza, è stato anche il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, che qualche giorno fa non ha usato mezzi termini: chi fa scena muta alla maturità va punito. Con la nuova riforma della maturità, di cui ha parlato il capo del dicastero di Viale Trastevere, chi boicotterà l’esame in questo modo andrà incontro alla bocciatura.
Probabilmente verrà introdotta una norma che dica che “lo studente che dichiara espressamente di non voler rispondere alle domande della Commissione per contestare l’esame dovrà in ogni caso ripetere l’anno”.
Insomma, al malcontento dei ragazzi il ministro ha risposto con il pugno duro. Ma si tratta davvero di un modo efficace e utile, dal punto di vista degli studenti, per cambiare finalmente la scuola? Gli studenti “ribelli” sono da lodare e da ascoltare? Oppure la protesta è solo un pretesto per non sottoporsi ad un esame e bisogna quindi creare un deterrente per evitare boicottaggi del genere?
Il sondaggio
La Tecnica della Scuola lo chiede ai suoi lettori, in prevalenza docenti: siete d’accordo con la misura annunciata da Valditara? O quella del ministro è una linea troppo dura e poco educativa?




