
Continua il botta e risposta sull’educazione sessuale a scuola tra lo psicanalista Massimo Recalcati e la giornalista Concita De Gregorio. Il saggista ha dato una contro risposta alla scrittrice in cui ha illustrato ancora una volta le sue opinioni sul tema.
Ecco cosa ha detto: “Provo a spiegarmi meglio. Perché non esiste a scuola una materia che si chiama ‘educazione’ in senso lato? Perché la scuola ‘nel suo complesso’, appunto, come scrivo, è tenuta a generare degli effetti educativi. ‘Nel suo complesso’ significa nell’attività didattica, nelle relazioni tra insegnanti e allievi, in quelle tra gli allievi, insomma in quella vita comunitaria che dovrebbe costituire l’anima vivente di ogni scuola. Sarebbe allora pensabile una materia che avesse come tema l’insegnamento dell’educazione in senso lato? No, non lo sarebbe. Lo stesso vale, nel mio ragionamento, per la cosiddetta educazione sessuale e affettiva. Un bravo insegnante non è un filosofo della morale, non pretende di condurre le vite dei suoi allievi nella giusta direzione (quale sarebbe poi?), non è un educatore di professione. La didattica è già in se stessa profondamente educativa senza che questo costituisca il suo programma esplicito. Resto convinto che non avrebbe senso alcuna materia deputata all’insegnamento di cosa sia educazione sessuale o all’affettività perché questa educazione dovrebbe scaturire dalla vita stessa della scuola”.
“Per quel che mi riguarda molto meglio una lezione su Flaubert o su Saba, sul terrore giacobino o sulla nostra Costituzione che una spiegazione ‘educativa’ per comprendere cosa significhi tolleranza e rispetto della differenza, accoglimento e critica alla discriminazione di ogni genere. Senza l’aggancio con la didattica ogni discorso correrebbe infatti, sempre a mio modestissimo parere, il rischio di una caduta psicologistica nutrendo l’illusione che esistano ‘esperti’ o “specialisti” deputati a spiegare come dovrebbe essere una sessualità e una affettività ‘giusta’. E poi — e non è davvero una questione di ironia come invece scrivi — tenuto da chi? Io per primo mi rifiuterei di spiegare cosa dovrebbe essere una sessualità e una affettività ‘giusta’. Soprattutto in un’aula magna piena di sedicenni. Forse mi vedrei meglio a parlare, solo se però lo volessero, ai loro genitori non per offrire un modello ideale, ma per evocare la centralità che la testimonianza attiva del loro reciproco rispetto può avere nella sua trasmissione ai loro figli. Credo per questo che anche un solo gesto o una parola di un insegnante possa valere molto di più di qualunque educazione strutturata alla sessualità o all’affettività nella formazione di un giovane”.
“Ma, cara Concita, tutto questo mio personalissimo ragionamento trova la sua giustificazione in un tema ancora più scabroso. Riguarda quello che chiamiamo prevenzione. Ho compiuto 65 anni e da 35 ascolto bambini e bambine (all’inizio della mia attività), ragazzi e ragazze, uomini e donne parlarmi delle loro più diverse e insopportabili sofferenze. Parte di queste sono legate alla sessualità e alla propria vita affettiva. Lasciami fare per esperienza questa semplice considerazione: l’idea che sia la trasmissione del sapere a dissuadere dalle cattive pratiche risponde a un ‘modello greco’ della conoscenza che alimenta purtroppo solo illusioni: conoscere il nostro bene significherebbe fare il nostro bene. Avendo partecipato a tavoli nazionali e internazionali di ogni genere sul tema della prevenzione, tutte le persone più oneste intellettualmente che ho potuto conoscere condividevano il presupposto che ciò che previene non è affatto il sapere. Questo ‘modello greco’ è stato infatti scombussolato traumaticamente da quello cristiano prima e da quello della psicoanalisi poi: ‘Perché non faccio quello che veramente voglio, ma solo quello che detesto?’, si chiedeva Paolo di Tarso nella sua Epistola ai Romani. Domanda inquietante che non possiamo eludere e che la psicoanalisi ha messo al centro della sua prassi: perché pur sapendo quale sarebbe il proprio bene gli esseri umani possono tendere a fare il loro male? Domanda che è davvero spesso al cuore della nostra vita affettiva e alla quale nessuna istruzione può rispondere”.
“E allora? Cosa ci salva? Cosa rende possibile una vita affettiva e sessuale gioiosa e affermativa? Risponderò in modo bruscamente sintetico isolando quelle che a me appaiono le due condizioni di base. La prima: serve la testimonianza reale dei propri genitori o di qualunque altro adulto di riferimento che è possibile davvero amare e desiderare senza usurpare o fare soffrire, senza ricattare o ingannare, senza esercitare potere o subirlo, senza negare la libertà dell’altro ma riconoscendola appieno. Testimonianza reale, ripeto, e non chiacchiere. La seconda e più fondamentale riguarda propriamente la scuola come comunità: alimentare il desiderio di vita nei nostri figli, fare sorgere in loro una vocazione, favorire l’accensione della loro esistenza. Perché le maggiori distorsioni della vita sessuale o affettiva non derivano da un non sapere, ma dalla chiusura della vita, dalla paura che determina la spinta a sopraffare l’altro o a offrirsi come sua vittima sacrificale. Pasolini lo diceva a suo modo: è il ‘vuoto di cultura’ che genera ‘desiderio di morte’. Laddove invece c’è trasmissione della cultura si accende il desiderio di vita che è la sola prevenzione possibile che possiamo davvero offrire. È quello che si dovrebbe fare giorno dopo giorno a scuola. Non nel recinto chiuso di una materia ma nell’apertura della vita stessa della scuola. Educare a una vita affettiva e sessuale generativa significa innanzitutto, almeno per me, educare al desiderio come impegno e vocazione. Più le vite dei nostri figli saranno capaci di vita più la qualità delle loro relazioni affettive o sessuali tenderanno a essere feconde e non mortifere. E vale, ovviamente, anche il contrario”.
Educazione sessuale, Recalcati: “La sessualità non si spiega”
Ecco alcuni stralci dell’intervento di Recalcati: “Se allora il nemico era l’interdizione sessuofobica, oggi il rischio è, almeno ai miei occhi, un nuovo tipo di oscurantismo. Mi riferisco alla riduzione della sessualità a fenomeno da spiegare, classificare, amministrare. Ma anche alla sua colonizzazione da parte di ideologie diversamente identitarie che pretendono di racchiudere il suo mistero all’interno di categorie fatalmente rigide”.
“È in questo scenario più generale che dobbiamo collocare l’attuale dibattito politico sull’educazione affettivo-sessuale nelle scuole. È una questione seria che non può essere liquidata né con un moralismo rovesciato — condannare la sessualità eterosessuale come rigidamente binaria e normativa di fronte ad altre forme di sessualità che sarebbero più libere ed espressive — né con l’ingenuità scientista di chi crede che basti un modulo formativo per educare al mistero irriducibile del desiderio sessuale e della vita affettiva”.
“Il punto cruciale è che tale educazione non può essere considerata una materia di scuola tra le altre, non può ridursi a un sapere tecnico perché tocca ciò che di più intimo, inafferrabile e bizzarro c’è nella soggettività umana. L’idea che il desiderio possa essere oggetto di un sapere specialistico rivela un equivoco profondo: la sessualità non si insegna come si insegna la grammatica o la matematica. E poi chi dovrebbe insegnarla? Un biologo? Uno psicologo? Un insegnante di scienze naturali? Un tecnico appositamente formato? La sessualità non è un sapere universale da trasmettere, ma un’esperienza del tutto singolare e incomparabile che deve essere piuttosto custodita”.
“L’educazione affettivo-sessuale dovrebbe essere un obiettivo trasversale dell’intera vita scolastica, un suo effetto educativo essenziale più che una materia a sé stante. Ogni insegnante, ogni adulto che abita la Scuola, è già — volente o nolente —, se si vuole proprio usare questa brutta espressione, un ‘educatore sessuale-affettivo’. Il modo in cui si parla, si ascolta, si guarda l’altro, il modo con il quale si riconosce pienamente la sua differenza, costituisce già una forma di educazione in atto”.
“Ogni vera educazione alla sessualità dovrebbe essere, prima di tutto, un’educazione al mistero. Che cosa significa amare? Che cosa significa desiderare? Perché possiamo fare delle scelte sessuali o amorose che anziché aprire la nostra vita alla pienezza della vita, la offendono e la feriscono? Perché dovremmo sempre sottrarci a rapporti che assomigliano a delle catene e perché a volte invece li ricerchiamo morbosamente? Perché non è così facile unire e non opporre il desiderio all’amore? Ma siamo sicuri che un programma ministeriale o un’educazione famigliare possano davvero pretendere di dare risposte a questi interrogativi così cruciali che accompagnano da sempre la vita umana? È la Scuola come comunità vivente che deve incaricarsi non tanto di rispondere a questi interrogativi ma di educare quanto meno alla libertà, al rispetto delle differenze e al mistero. Innanzitutto attraverso i poeti, la letteratura, il cinema, il teatro, insomma, attraverso la cultura che già si insegna. In secondo luogo nel favorire nella vita scolastica di tutti i giorni la lotta contro ogni forma di discriminazione, l’accoglienza della differenza, il riconoscimento del pieno diritto di ciascuno alla propria libertà sessuale. Un dubbio: tutto questo si ottiene facendo della sessualità e dell’affettività una materia di studio?”, ha concluso.
Educazione sessuale, Concita De Gregorio: “Se non a scuola, dove?”
Ecco le parole di De Gregorio, che si è rivolta, sempre sullo stesso quotidiano, proprio a Recalcati come se fosse una studentessa sedicenne.
“Mi scusi, professore, ma dire che ‘la scuola deve affrontare questi temi nel suo complesso’ mi sembra vago, utopistico, ambiguo. Mi sembra una scappatoia per non farlo: cosa significa ‘nel suo complesso?’. Chi, esattamente? Il coro all’unisono di insegnanti di matematica e scienze, di filosofia e diritto, ciascuno nella sua ora?
Forse lei non conosce la mia, di scuola: a parte qualche magnifica eccezione, qualche docente illuminato e ce ne sono, in generale prevale l’ansia di completare i programmi, i compiti a crocette, l’incubo dei test Invalsi, il nozionismo. Non c’è tempo e non c’è modo, per il resto. Che poi sa, professore, ‘nel suo complesso’ vuol dire tutto e vuol dire niente, è come buttare la palla in tribuna”.
Noi l’educazione alla sessualità non la studiamo su Freud. La facciamo su YouPorn, piattaforma libera e gratuita, e le assicuro che confrontarsi con quel modello genera parecchia ansia, parecchia confusione. Nessun ministro, del resto, può oscurare YouPorn: dunque restiamo così. Senza un posto dove discuterne a scuola e con la rete a darci lezione.
Lei si chiede chi potrebbe insegnare i fondamenti dell’affettività e della sessualità e fa, mi sembra, dell’ironia. Un biologo? Uno psicologo? Un insegnante di scienze naturali? Potrebbe essere lei, per esempio. Lei e altri docenti magari non alla sua altezza (li pagano così poco, gli insegnanti. Se potessero svolgere la libera professione, se fossero qualificati per avere pazienti da ricevere a studio lo farebbero) ma — penso — magari formati da professionisti come lei. Serve l’educazione, prof. E se non si fa a scuola. Se non si insegna lì che ciascuno è diverso e però uguale. Che tutti meritano rispetto e che bisogna pretenderlo, il rispetto. Allora dove? Alla tv? Su YouPorn, su Onlyfans, nella rete? Non lo so, sono disorientata e mi sento spesso sola. Sarebbe bello trovare a scuola qualcuno con cui parlare, sa? Avere un posto. Sarebbe bello”.
Il focus della Tecnica della Scuola
Sull’educazione sessuale in questi giorni si è detto di tutto. Precisamente se ne discute dal 15 ottobre, quando è stato approvato alla Camera l’emendamento al Ddl sul consenso informato che estende il divieto di poter parlare di tematiche sessuali (per le figure esterne alla scuola) – oltre che ai bambini della scuola dell’infanzia e della scuola primaria – anche a quelli della scuola secondaria di primo grado.
Si è parlato quindi di divieto di educazione sessuale fino alle medie: il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha voluto però precisare: non è vero, ha detto, che non si può fare educazione sessuale a scuola; si potrà fare a livello di programmi, come previsto dalle Indicazioni Nazionali del Primo Ciclo e dalle nuove Linee Guida di Educazione Civica.
Ma quindi cosa cambierà nel concreto? Qual è lo stato delle cose? La Tecnica della Scuola ha voluto costruire un focus per fare chiarezza sull’argomento.
L’approfondimento
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Le interviste
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